top of page

ARTEMIDE, DIANA, ARADIA: dee selvatiche e ribelli

  • Immagine del redattore: Simona
    Simona
  • 6 giorni fa
  • Tempo di lettura: 5 min

Sono Simona, le mani, la mente e il cuore dietro al progetto Hic Sunt Monstra, e questo è il mio blog, dove vi parlo prevalentemente di artigianato, letteratura e ispirazione. Scrivere è una mia grande passione, spero di riuscire a coinvolgervi nel mio lavoro e nel mio mondo anche tramite i miei post.



Donna con collana e libro

In principio, la Dea era una.

Unica, multiforme, misteriosa: incarnazione della vita e della morte, del ciclo eterno dell’esistenza.

Abitava nei luoghi luminosi e in quelli bui, nella luce del giorno e nell'oscurità della notte e delle viscere della terra, nei doni evidenti della natura e in quelli più misteriosi, da conquistare con lentezza e devozione.


Con il tempo, ogni suo aspetto si è distinto, diventando una divinità a sé. Forse perché l’idea di unità era troppo grande per essere contenuta nella mente umana. O forse perché gli esseri umani, in epoche diverse, hanno sentito il bisogno di avvicinarsi a certi volti più che ad altri, cercando conforto, guida o potere.



Nella mia personale e continua ricerca – che è spirituale, immaginifica, mitologica – mi sono sempre sentita attratta dalle divinità dei boschi. Tra tutte, Artemide, Diana e sua figlia Aradia. Attraverso di loro si è aperto davanti ai miei occhi un immaginario potente, anarchico, affascinante: un paesaggio interiore fatto di fronde, animali, libertà, ciclicità e sorellanza.


Il bosco come altrove sacro


Ho una predilezione profonda per l'immaginario boschivo, che è per me il luogo "altrove" per eccellenza, lo spazio in cui l'essere umano smette di sentirsi al centro dell'Universo. Non a caso agli albori dell'umanità ogni foresta era un luogo sacro, un tempio all'aria aperta in cui si celebravano riti e comunioni con il divino, tanto quanto possiamo fare oggi negli edifici preposti.



Artemide e Diana: libere, selvatiche, sacre

Artemide, per i Greci e Diana, per i Romani sono dee della caccia, degli animali selvatici, dei torrenti, dei boschi e della Luna.

Sono spesso identificate come “vergini”, ma in un senso molto lontano da quello imposto dalla morale patriarcale: verginità come libertà, come non-subordinazione al maschile, come scelta radicale di non fondarsi sull’unione con un uomo per esistere e per contare.


L'indipendenza di Artemide si qualifica già nel momento in cui - giovanissima - chiede a Zeus la libertà di vivere nella natura, con le sue ninfe e i suoi animali, solo per dedicarsi alla caccia. Strumento del suo potere è proprio l'arco con cui viene spesso rappresentata.

Artemide è anche la dea protettrice delle partorienti e delle iniziazioni femminili.  Ed è anche dea lunare - patrona dei suoi cicli e dei suoi influssi sulla Natura. Nel tempo la dea verrà spesso identificata con la Luna Crescente.


Anche Diana incarna gli stessi simboli: il legame con la notte, l’indipendenza, la caccia, la solitudine. Molti sono anche i tratti che la distinguono da Artemide, ma non sono quelli che più interessano questa analisi.




Artemide e Diana suscitano inevitabilmente in me sensazioni ataviche, come se appartenessero, molto più di altre divinità, a quel mondo originario che oggi possiamo appena immaginare. La loro figura vive nei templi più antichi e celebra la vita e la morte così come Madre Natura stessa impone, mentre la loro femminilità si manifesta libera da ogni forma di legame o di oppressione.


C'è qualcosa di caotico e di irriverente in loro. Non a caso - con il trascorrere del tempo - Artemide/Diana diventa la dea delle streghe, in un lungo processo di transizione che ha radici storiche e folkloristiche affascinanti e profonde.


È la sua connessione con i cicli della natura che la rende vicina a tutti coloro che vivono ancora secondo i ritmi della terra. È a lei che ci si rivolge - nella semplicità dei bisogni essenziali - quando si deve pregare per la fertilità e per la buona riuscita dei lavori agricoli, così come si è sempre fatto: invocando l'aiuto di un potere materno.





Aradia: la figlia strega della Dea


È proprio da Diana che nasce Aradia, figura affascinante e dirompente. Figlia della Dea e della Terra, ma anche di un Lucifero che non ha niente a che vedere con il demonio cristiano, Aradia non è solo mediatrice fra sacro e umano: è guida delle streghe, patrona dei perseguitati, portatrice di rivalsa per chi è stato messo ai margini dalla società.


Il suo culto, radicato nei riti contadini, non promette un paradiso nell’aldilà, ma giustizia nel presente. È una spiritualità concreta, che parla di raccolti, nascite, terra, sangue, cicli. Ma anche di resistenza e rivendicazione. Pregare Aradia significa cercare una via per ritornare alla Grande Madre, ma anche per ribellarsi al potere che la sfrutta.


Questo aspetto sociale sorprende e affascina.

Chi crede in Aradia sono figure ai margini della società, soffrono l'oppressione dei potenti e non trovano conforto in quel credo imposto che sembra offrire solo speranze post-mortem. Sono i poveri, i reietti, i diseredati, i dimenticati. Che hanno però di se stessi una profonda coscienza sociale.




Quello che mi ha letteralmente conquistata di queste figure mitologiche è la loro connessione con la Natura, la loro femminilità indipendente e anticonvenzionale, quel senso di isolamento che tuttavia propizia il legame con altre figure femminili (le ninfe e le donne devote). Sono come streghe che si ritirano nel bosco e creano la loro congrega.  E per molte streghe sono state in effetti ( e sono tutt'ora, nel paganesimo moderno) delle figure di riferimento.


Ma adoro anche la loro posizione fortemente politica, non nel senso ideologico, ma in quello arcaico, originario: di chi protegge la comunità, chi restituisce dignità, chi combatte per la giustizia con le armi della saggezza, della natura e della memoria, della magia. Un bisogno che è vivo ancora oggi.



Artemide, Diana e Aradia risuonano in me come eco primordiali.

Sono dee che incarnano la libertà e l’alterità, la sorellanza e l’intuizione. Sono figure femminili non concilianti, non addomesticate, che scelgono la solitudine come forma di potere e si uniscono ad altre donne in cerchi di forza.

Sono archetipi potenti, capaci ancora oggi di risvegliare qualcosa di selvatico e sacro dentro chi le guarda.


Ed è proprio questa la parte che mi commuove, che mi accende il cuore e la mente: la possibilità che il divino non sia altro, lontano, ma radicato nella terra, nell’acqua, nelle ossa, nei cicli, nei corpi. Che sia ancora accessibile, ancora vicino. Che abiti i boschi e le rocce, e ci chiami – ogni volta che ascoltiamo davvero.




Appendice: il mito che diventa talismano


Il mio lavoro nasce anche da questo incanto.

I gioielli che dedico alle dee sono talismani di forza e memoria, oggetti simbolici che celebrano il potere, l’indipendenza e il valore del femminile.

Attraverso le collane che creo, cerco di dare corpo a queste figure, per farne presenze da indossare. Non tanto per imitare la Dea, ma per ricordare che abbiamo dentro di noi le sue stesse scintille: il coraggio di scegliere, la libertà di essere, la bellezza selvaggia di chi non cede.

 


Artemide Diana Aradia dee ribelli


Link Utili:

Comentários


bottom of page