Cervo Bianco - un racconto
- Simona
- 10 lug
- Tempo di lettura: 5 min
Sono Simona, le mani, la mente e il cuore dietro al progetto Hic Sunt Monstra, e questo è il mio blog, dove vi parlo prevalentemente di artigianato e ispirazione. Scrivere è una mia grande passione, spero di riuscire a coinvolgervi nel mio lavoro e nel mio mondo anche tramite i miei post.

Da anni sono innamorata della Luna, non solo della sua presenza fisica ma anche dei suoi riferimenti simbolici, della mitologia e di tutte le leggende di cui è protagonista.
E così, mentre quest'anno riporto tutta la magia delle Lune piene del folklore nel mio immaginario creativo, ho deciso di accompagnare ciascuna Luna piena con un racconto.
La Luna del Cervo ci invita a distillare la nostra magia e a trasformare, come nel migliore dei processi alchemici, la nostra anima in qualcosa di vivo, dolce, inebriante e palpitante.
Luglio è il mese in cui la Luna si mostra nel suo volto più estivo, vigoroso e fertile: La Luna del Cervo, nota anche come Luna del Tuono o delle Erbe, è una luna piena di succo e di vita, che pulsa di energia istintiva, di libertà, di desideri che non vogliono più restare in silenzio.
L’estate ci libera: ci slaccia, ci allenta, ci riconnette con il corpo e con i sensi. Dopo mesi di introspezione e raccoglimento, ora è tempo di espandersi, di sentire il vento sulla pelle, di correre, danzare, ridere, creare. È il momento di assaporare i frutti delle nostre semine. E di condividerli con chi amiamo.
Questa Luna ci invita a celebrare la vita nella sua forma più autentica: semplice, istintiva, libera. Come i cervi nei boschi, possiamo attraversare questa stagione con grazia e forza, seguendo solo ciò che ci somiglia davvero.
© Simona Bonanni - luglio 2025
Cervo Bianco era nato con la Luna Piena, e la sua mandria credeva che le avesse rubato il colore, tanto il suo vello era candido e luminoso.
Questo non lo rese particolarmente amato. Gli altri cervi lo evitavano. C’era chi pensava che potesse rubare qualcosa anche a loro. Altri credevano che avesse qualcosa di magico e misterioso che non comprendevano. Ma la maggior parte riteneva semplicemente che fosse troppo diverso da loro, e questo bastava per non volerlo vicino.
Cervo Bianco aveva imparato a sopravvivere a tutto questo. Era forte, ingegnoso, capace di stare con se stesso. Quando l’indifferenza del suo branco si faceva particolarmente feroce, fuggiva nel bosco più profondo: i suoi zoccoli argentei tamburellavano sulle rocce come un saluto, mentre andava in cerca di una vista aperta sulla valle o di qualche foglia gustosa da rosicchiare. Nel silenzio della sua solitudine, poteva sognare una famiglia tutta sua, in cui fosse capito, ammirato, amato. Scherzava con altre bestie del bosco, trovava spazi in cui scorrazzare, le corna ancora giovani abbassate come davanti a un avversario, pronto a reclamare la sua supremazia.
Quando nella mandria tutti dormivano, lui rientrava. Era più facile passare in mezzo ai suoi simili quando questi non lo guardavano e, anzi, lo ignoravano del tutto, persi nei loro sogni. Sapeva che nessuno di loro si sarebbe mai preoccupato se lui non fosse tornato. Non avrebbero sofferto se si fosse sperduto. Qualcuno avrebbe persino creduto che fosse ritornato nel mondo magico da cui, forse, proveniva, e finalmente non li avrebbe più messi in imbarazzo.
Ma Cervo Bianco era davvero una creatura di un altro regno?
Una notte, in cui la sua condizione cominciò a pesargli sul cuore in modo particolare, decise di provare a chiederlo a colei che, in qualche modo, sembrava responsabile di quel suo manto niveo. Forse Cervo Bianco stava crescendo e iniziava a desiderare davvero una famiglia, una compagna, un suo posto nel mondo. E sapeva che, così com’era, non li avrebbe mai avuti. Decise quindi di andare a cercare la Luna.
E non fu difficile trovarla. Come la notte in cui era nato, la Luna era piena. Salito su uno sperone di roccia a precipizio sulla valle sottostante, Cervo Bianco la vide e credette quasi di poterla toccare.
"Perché sono così?" le chiese a bruciapelo. "Dicono che ti ho rubato il colore, ma come potevo? Ero solo un cucciolo ignaro tra le zampe di mia madre."
La Luna sembrava distante e indifferente, per quanto bellissima. Se davvero lui le aveva rubato qualcosa, perché mai avrebbe dovuto rispondergli?
Di fronte all’ennesimo silenzio, all’ennesimo rifiuto, Cervo Bianco stava per andarsene. E fu allora che la Luna parlò.
"Nessuno può rubarmi niente, Cervo. Io sono la Luna. Tutt’al più, io dono."
Cervo Bianco si fermò e alzò la testa, come per replicare qualcosa.
"Oh, lo so cosa dicono di te," lo interruppe la Luna. "Ma neanche loro sanno."
"Quindi vengo davvero da un regno magico?" chiese Cervo Bianco, con un filo di speranza nella voce.
Se la Luna avesse avuto le braccia, di certo le avrebbe allargate mentre rispondeva:
"Potresti immaginare un regno più magico di questo? Io ti vedo: ogni notte lo percorri palmo a palmo, lo conosci tutto. È il tuo mondo, devi solo accettarlo."
Cervo Bianco scosse la testa.
"È il mondo che non mi accetta. Stanotte tornerò alla mia mandria, e per loro sarò sempre sbagliato. Non bianco, ma invisibile."
Un suono cristallino mosse l’aria attorno. Forse era la risata della Luna.
"La tua mandria non è il mondo. È solo una piccola parte. Non guardarti indietro. Non tornare indietro. Stanotte, non tornare da loro. Continua a camminare. Il tuo mondo ti aspetta."
Per un attimo, Cervo Bianco sentì addosso un peso enorme: la responsabilità di costruirsi una nuova vita era qualcosa a cui non aveva mai pensato. Ma mentre rifletteva se abbandonare davvero la sua mandria o tornare comunque da loro, nonostante l’indifferenza in cui lo avevano isolato, sentì un fruscio alle sue spalle. Si voltò, e li vide: cinque musi bianchi tra le frasche. Due avevano giovani palchi, e ruminavano piano le foglie più tenere. Nei loro occhi enormi e liquidi, Cervo Bianco vide se stesso e capì che non era tempo di tornare indietro.
Cervo Bianco rivide mai la sua vecchia famiglia?
Oh, sì. Era ormai adulto, le corna imponenti e sempre bianchissime come il suo corpo. Percorreva il crinale del bosco con il suo branco: tutti i membri perfettamente bianchi e luminosi come lui, con gli zoccoli argentei che ticchettavano sulle rocce come un canto.
Vide tutti i suoi vecchi compagni nella radura sottostante, e loro videro lui: massiccio, imponente, bellissimo, circondato dalla sua gente come il re di un mondo fatato. Ed ebbero timore.
Cervo Bianco fissò per un attimo il suo passato, prima che suo figlio si spingesse avanti con la testa per osservare meglio la mandria giù in basso.
"Guarda quei cervi!" disse al padre. "Qualcuno ha rubato loro il bianco!"
La Luna Piena splendeva di nuovo alta nel cielo, e rideva.
I cervi bianchi si misero a correre, e sparirono infine nel folto del bosco.
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