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Il dono dell'inverno - un racconto

  • Immagine del redattore: Simona
    Simona
  • 10 ore fa
  • Tempo di lettura: 5 min

Sono Simona, le mani, la mente e il cuore dietro al progetto Hic Sunt Monstra, e questo è il mio blog, dove vi parlo prevalentemente di artigianato e ispirazione. Scrivere è una mia grande passione, spero di riuscire a coinvolgervi nel mio lavoro e nel mio mondo anche tramite i miei post.



Gioiello con serpente e luna piena

Da anni sono innamorata della Luna, non solo della sua presenza fisica ma anche dei suoi riferimenti simbolici, della mitologia e di tutte le leggende di cui è protagonista.


E così, mentre quest'anno riporto tutta la magia delle Lune piene del folklore nel mio immaginario creativo, ho deciso di accompagnare ciascuna Luna piena con un racconto.


La Luna del Freddo è l’ultima Luna Piena dell’anno: un faro bianco che attraversa l’inverno e ci accompagna nella soglia tra ciò che si chiude e ciò che sta per rifiorire.

Conosciuta anche come Luna dell’Inverno o Luna della Quercia, porta in sé la stessa simbologia del Solstizio: il passaggio dal buio alla luce, il lento ritorno della vita sotto il manto del gelo.


Sebbene la terra riposi e tutto sembri immobile, questa Luna custodisce una promessa discreta ma potentissima: il ciclo non si interrompe mai. Anche nel torpore più profondo, qualcosa in noi — e intorno a noi — continua a germogliare.

Possiamo ascoltare il nostro bisogno di chiarezza, scaldare sogni e desideri che chiedono di crescere, e celebrare quell’angolo quieto che abbiamo preparato per questo periodo dell’anno: un rifugio intimo dove luce e introspezione convivono.


Questa Luna è legata anche alla figura della Vecchia: la strega, la befana, l’archetipo dell’anziana saggia che rappresenta la fine di un ciclo, la parte più severa ma necessaria del percorso, quella che presto cederà il passo a una nuova giovinezza e a nuove energie. È il volto del tempo che chiude, purifica, spazza via, affinché il rinnovamento possa farsi strada.


La Luna Fredda ci invita a celebrare, rinnovare e rinnovarci. A lasciare andare il tempo ordinario e a creare un varco per la magia. Ci invita ad accogliere simbolicamente la Vecchia con la sua scopa, chiederle di fare pulizia, di portar via ciò che pesa e poi lasciarla andare, affinché il nuovo possa entrare.


Forse soffriamo sempre un po’ alla fine delle feste, ma in fondo è lo stesso movimento della Luna: raggiunge il massimo del suo splendore e poi ricomincia a calare. Non è una perdita, è un ciclo che si rinnova.

E noi siamo chiamate solo a viverlo, con tutta la grazia e la verità che possiamo.



© Simona Bonanni - dicembre 2025



La neve cadeva lenta, come se non avesse fretta di arrivare a terra. Silenziava tutto: le voci, i passi, persino il cuore. Era la vigilia della Luna Piena di dicembre, la Luna del Freddo, e la città sembrava trattenere il respiro in attesa di qualcosa di speciale.

In qualche modo, lo aspettava anche Alma, mentre camminava stringendo al petto le sue scatole di fiammiferi. Ogni sera d'inverno li vendeva lungo le strade. Con le poche monete che riceva si comprava una zuppa calda, a volte un panino e della frutta secca. Ma quella sera nessuno sembrava avere tempo per una ragazzina con gli occhi troppo grandi e la sciarpa troppo sottile. Passava inosservata, come se fosse fatta della stessa polvere bianca che il vento sollevava dai tetti.


Eppure, dentro di lei, restava una piccola scintilla di ottimismo. L’aveva avuta fin da bambina, quando ascoltava le storie della nonna: la Luna che veglia sulle anime, le luci che non si spengono mai, i doni dell’inverno che arrivano solo a chi ha il coraggio di resistere.


Solo ogni tanto, negli ultimi tempi, Alma si sentiva smarrita. A cosa serviva quella luce, se nessuno la vedeva? A cosa serviva accendere un fuoco, quando tanti come lei ancora pativano il freddo? E su chi vegliava la Luna? I fortunati sembravano essere sempre i soliti. E i poveri anche.


La bambina si rifugiò in un vicolo riparato dal vento. Le dita, arrossate dal gelo, tremavano mentre apriva una scatola di fiammiferi. Lì dentro i bastoncini di legno stavano tutti vicini, come speranze dimenticate.

Ne accese uno.

La fiamma esplose come un fiore oro e blu della notte. La luce tremolò contro il muro di pietra e per un attimo Alma vide qualcos’altro: un momento della sua infanzia, la casa della nonna, umile ma pulita, illuminata da una lampada ad olio. Lei, piccola piccola, che rideva e giocava con le ombre animate dalla nonna, ignara delle fatiche della vita. Sentì il profumo di una tisana, sentì la voce della nonna.

“La luce non è ciò che porti, è ciò che sei.”


Quando il fiammifero si spense, la visione svanì, ma il tepore le rimase addosso come un abbraccio.

Alma accese subito un altro fiammifero.

La fiamma le rivelò il volto della nonna, sorridente, circondato da un alone lunare. Non parlava, ma Alma percepì un invito silenzioso. A non dubitare, a non dimenticare. Fu come se i fili della memoria si ricongiungessero di colpo dentro al petto, strappandole una lacrima di dolore e nostalgia.

Il fiammifero si consumò in fretta, bruciandole le dita e lasciandola di nuovo nel buio.


Alma rimase immobile. Il vento le pizzicò la pelle, la neve le bagnò le ciglia.

«Non posso rimanere qui», sussurrò a sé stessa.

Ma non sapeva dove andare.

Prese un altro fiammifero. Prima di accenderlo, sollevò lo sguardo al cielo. Le nuvole si stavano aprendo e la Luna Piena del Freddo apparve, gigantesca, perfetta, bianca come la promessa di un altrove.

Alma accese il suo piccolo fuoco.


La luce si fuse con quella lunare. Non ci furono più visioni, né ricordi.

Solo una strada che sicuramente era sempre stata lì, ma che le parve di vedere solo allora, come un tracciato argentato tra la neve, quasi vivo, che si snodava tra vecchi edifici fino ad una corte. E lì, illuminata, una piccola casa, che le ricordò quella di sua nonna.

Vai, bambina mia. Vai.

Alma proseguì.


I suoi passi affondavano nella neve, ma il freddo non la feriva più. Camminò finché non arrivò davanti a quella piccola abitazione in fondo a quella strada che non aveva mai notato. Che fosse solo un sogno? Anche le finestre irradiavano una luce simile a quella delle sue visioni, calda, amichevole, familiare.

La porta d'ingresso era socchiusa e Alma sbirciò dentro. Una donna dall’aria gentile stava sistemando alcune candele su un tavolo. Dal camino acceso arrivava profumo di zuppa calda.

Quando la donna alzò lo sguardo, le sorrise come se l’aspettasse da sempre.

«Entra», disse soltanto. «Fuori fa troppo freddo.»

Alma esitò, ma la donna le fece un cenno con la mano.

«Su, avanti. Stavo per per mettere nel piatto la zuppa. A che serve averne un pentolone pieno se non posso condividerlo con chi ha freddo e fame? »


Alma entrò e si chiuse la notte alle spalle. La notte ma non la Luna, che sembrava osservarla attraverso la finestra, compiaciuta.

Il calore l'avvolse immediatamente. Le sue mani smisero di tremare.

«Siete forse un sogno, signora? » chiese alla donna con un filo di voce.

«Ah, bambina mia, che sciocchezze. Quando ti brucerai la lingua con questa zuppa meravigliosa, mi dirai tu se stai sognando! »

Alma guardò l’ultimo fiammifero ormai consumato, ancora stretto fra le dita.

E, per la prima volta dopo tanto tempo, sorrise.

«Non ero io a cercare la luce», mormorò. «Era lei a cercare me.»




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