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Nebbia - un racconto

  • Immagine del redattore: Simona
    Simona
  • 5 nov
  • Tempo di lettura: 5 min

Sono Simona, le mani, la mente e il cuore dietro al progetto Hic Sunt Monstra, e questo è il mio blog, dove vi parlo prevalentemente di artigianato e ispirazione. Scrivere è una mia grande passione, spero di riuscire a coinvolgervi nel mio lavoro e nel mio mondo anche tramite i miei post.



Gioiello con serpente e luna piena

Da anni sono innamorata della Luna, non solo della sua presenza fisica ma anche dei suoi riferimenti simbolici, della mitologia e di tutte le leggende di cui è protagonista.


E così, mentre quest'anno riporto tutta la magia delle Lune piene del folklore nel mio immaginario creativo, ho deciso di accompagnare ciascuna Luna piena con un racconto.


La Luna delle Nebbie, nota anche come Luna della Brina o Luna degli Antenati, ci accompagna nel passaggio verso l’inverno, continuando metaforicamente la discesa verso l’Altrove già iniziata a ottobre.


Carica delle atmosfere fredde, umide e nebbiose di questa stagione, la Luna Piena delle Nebbie è una Luna onirica, misteriosa e mistica, intrisa di ricordi e di potenziale trasformazione.


Nella quiete sospesa di una natura ormai addormentata, questa Luna ci guida nel territorio del sogno — un mondo rarefatto e visionario, dove possiamo esplorare possibilità che la ragione non contempla. Qui l’occhio interiore impara a riconoscere forme che solo nell’ombra e nell’intimità del silenzio tardo autunnale si lasciano percepire.


Lasciamoci guidare da ciò che è inconscio. La Luna delle Nebbie ci invita a sospendere la razionalità, a staccarci dalle manifestazioni più esteriori, a scendere dentro di noi — là dove è più buio — per piantare e nutrire i semi di una nuova dimensione.

L’immaginario di questa stagione evoca un manto di bruma e silenzio che rallenta e nasconde. Eppure, sotto l’apparente immobilità, la vita continua a trasformarsi: le foglie che marciscono diventano humus per il futuro, la linfa si fa lenta e profonda, e tutto, nel freddo e nel silenzio, è in divenire.


Questo simbolismo di disfacimento e rinascita è uno dei paradigmi più importanti evocati da questa Luna. Ci richiama al confronto con la morte, intesa come mutamento iniziatico, passaggio necessario nel ciclo dell’esistenza — una perdita che prepara il terreno per ciò che deve nascere.

In una visione ciclica, ogni fine porta con sé una rinascita. Ogni morte è un nuovo inizio.

Non è ancora tempo di agire, ma di affinare la sensibilità, di tornare ad ascoltarci: meditando, ispirando e lasciandoci ispirare, perdonando, lasciando andare. Soprattutto, è il momento di tendere l’orecchio a quelle parti di noi a cui non diamo mai spazio. Nel mondo del sogno, il tempo si dilata: lì possiamo finalmente ascoltarle.




© Simona Bonanni - novembre 2025



Il silenzio era così denso che persino i pensieri sembravano attutiti.

Sabrina camminava da ore lungo la strada che portava fuori dal paese, tra i campi ormai spogli e le siepi annerite dal gelo precoce. La nebbia era scesa in fretta, morbida e densa, inghiottendo ogni cosa: le luci delle case, il profilo dei colli, perfino il rumore dei suoi passi. All'improvviso, si sentì come smarrita in un sogno.


Non ricordava bene perché fosse uscita quella notte. Solo che qualcosa dentro di lei pesava troppo — una malinconia antica, come una stanza piena di polvere dove non si entra da anni. Quella sera era lì, nel pub del paese, con tutti gli amici, presi a raccontare dei tempi passati. Ma Sabrina era spenta. All'improvviso, senza farsi notare, aveva preso l'uscita e, nonostante la brina e la nebbia, si era messa camminare.


La Luna, invisibile dietro il velo lattiginoso del cielo, pulsava appena, un chiarore diffuso che sembrava respirare insieme alla notte.

Sabrina avanzò piano, senza meta, finché non sentì di aver perso ogni punto di riferimento.

Il telefono non prendeva più. Il silenzio era assoluto. Ecco, pensò, iniziano così tutte le storie di paura. Sarebbe sparita nel nulla. Ultimamente ci aveva pensato, ma più con l'idea di salire sul primo treno con solo una valigia di cose essenziali. E non come in un libro dell'orrore. Sabrina sbuffò, e nella nebbia sempre più fitta non vide neanche il suo stesso fiato.


Inutile andare avanti, pensò.

Si sedette su un tronco caduto, avvolgendosi stretta nello scialle di lana che aveva rubato quella sera a sua madre. Aspetterò, si disse, Qualcuno mi verrà a cercare. E tese l'orecchio, in attesa di udire qualche voce che chiamava il suo nome.

Ma fu altro che sentì mormorare alle sue orecchie.

All'inizio le parvero sussurri, lievi come soffi di vento. E poi presenze.

Ricordi che prendevano forma. Fantasmi? Eppure non ebbe timore.


Glielo aveva insegnato suo nonno, con quella sua voce roca, da fumatore. Gli diceva di non aver paura del buio.

"E dei morti, nonno?" chiedeva una Sabrina bambina.

"Un giorno io sarò morto," rispondeva. "Avrai paura di me?"

Poi sentì sua nonna, che le raccontava le leggende sulla Luna. Le disse che quando la Luna di novembre era piena, apriva le porte dei sogni, lasciando passare le anime in visita. Così ti potevano proteggere.

"Ci sei, nonna?" bisbigliò Sabrina nella nebbia.

E poi arrivò la sua stessa voce, più giovane, più impulsiva, più rabbiosa, che le chiedeva:

"Quando hai smesso di fidarti di te stessa?"


Sabrina chiuse gli occhi.

Nel buio dietro le palpebre scorrevano immagini: momenti dimenticati, desideri lasciati a marcire nel tempo, errori che avevano scavato ferite profonde. Sbagli che non si era mai perdonata. Successi che non aveva mai celebrato. Momenti per cui non si era mai fermata. Intuizioni che non aveva mai ascoltato.

Si era sempre riempita dei desideri di tutti, mai dei propri. Da troppo tempo vagava in una nebbia tutta sua, dalla quale non era più uscita.


Fu allora che la cortina attorno a lei cominciò a muoversi. La foschia si diradava lentamente, come se un respiro invisibile la spingesse via. Nel bosco alle sue spalle un rumore di foglie secche, forse calpestate da qualche animale, forse mosse dal vento, la richiamò alla realtà.


La Luna, finalmente visibile, apparve grande, immobile e limpida, sospesa sopra il mondo come uno specchio. Il suo chiarore si posò sul viso di Sabrina e in quell’istante tutto le fu chiaro: non era sola. Non lo era mai stata. Non era sbagliata. Aveva forse solo cercato le cose sbagliate, cose non sue, cose che non amava e che non le appartenevano.

La nebbia non le aveva nascosto il cammino: l'aveva semplicemente invitata a fermarsi per guardare altrove. È che lei era sempre fuggita dall'immobilità e dal silenzio, pensando di averne paura.


All'improvviso Sabrina si sentì svuotata di tutto, ed era un bene. Come se ogni ombra, ogni incubo, ogni dolore si fossero sciolti assieme alla caligine di quella notte. Quello che vedeva ora era un cielo limpido e una Luna perfettamente piena e luminosa.


Quando tornò al paese, l’alba già si insinuava tra i tetti.

Sabrina si voltò un’ultima volta verso i campi: la nebbia si era davvero dissolta, e nel freddo il paesaggio sembrava più vivido e definito.

Per un attimo, nel contorno della Luna che ancora resisteva al giorno, Sabrina credette di vedere sua nonna che le sorrideva.

O forse era solo il suo nuovo sguardo, più lucido e vivo.




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